Il foglio di stampa e il formato del libro.

Un libro aperto.

Un libro aperto.

 

LA STRUTTURA DEL LIBRO

Il foglio di stampa e il formato

Elemento di grande importanza nella strutturazione materiale del libro antico è il foglio di stampa, che determina di volta in volta dimensioni, fascicolazione e consistenza del libro secondo il formato deciso dal tipografo.

Il rapporto tra formato e foglio di forma è evidenziato dalla stessa etimologia del termine, che deriva da forma, il telaio su cui la carta viene prodotta e che ne imponeva le dimensioni. Il foglio di stampa è alla base della cartulazione, visto che i fascicoli sono formati dalle plicature del foglio di forma, dopo che le pagine del fascicolo, nel numero e frequenza prescelte in relazione al formato, sono state stampate sulle due facciate. È usanza tipica dei tipografi italiani quella di indicare, dopo il registro, la quantità complessiva dei fogli impiegati per realizzare il volume, così da evidenziare la consistenza del libro, che concorreva a fissarne il prezzo, e da fornire un importante aiuto al libraio che dovesse assemblare i fogli stampati per la vendita.

I formati possono essere:

 

in plano
in folio
in quarto
in ottavo
in decimo 10°
in dodicesimo 12°
in sedicesimo 16°
in diciottesimo 18°
in ventesimo 20°
in ventiquattresimo 24°
in trentaduesimo 32°
in trentaseiesimo 36°
in quarantesimo 40°
in quarantottesimo 48°
in sessantaquattresimo 64°
in settantaduesimo 72°
in novantaseiesimo 96°
in centoventottesimo 128°

 

Il formato in plano è anche indicato come atl. (atlantico).

Fra i libri in folio si segnalano le raccolte erudite, i dizionari e i trattati, le prime gazzette.

La tipologia dei testi in quarto è estremamente varia: si va dai testi di letteratura più popolare alle opere cavalleresche; fra ‘400 e ‘600 è il formato più diffuso in Italia, poiché maneggevole e robusto al tempo stesso.

Altro formato decisamente pratico è l’ottavo, per opuscoli, libretti devozionali, canzonieri e classici; la sua fortuna è legata alle prime collane di Manuzio e Giolito; nel Seicento tenderà a essere sostituito da formati minori, come il dodicesimo.

Il sedicesimo è invece tipico dei formati piccoli ed è limitato ai libretti liturgici fino al ‘400, poi assai diffuso nel Cinquecento, particolarmente per le edizioni di classici italiani e latini, da Dante a Cicerone, e ancor più nel Seicento per commedie, almanacchi, poesie.

In trentaduesimo si stampano dapprima opere devozionali, poi, col sec. XVI, testi di poeti come Tasso, di cui è attestata anche un’edizione veneziana seicentesca della Gerusalemme Liberata in 48°.

Il più piccolo formato conosciuto è il 128°, di cui si può citare l’edizione Plantin del 1570 conservata al museo Plantin-Moretus di Anversa, a testimonianza della straordinaria abilità dei maestri tipografi.

Per identificare il formato di un libro si prendono generalmente in considerazione l’orientamento di filoni e vergelle, la posizione di filigrana e contromarca, il numero delle carte che costituiscono il fascicolo, le dimensioni del foglio di stampa e le relative plicature. Ci si può trovare senza dubbio di fronte ad una serie molto complessa di situazioni, soprattutto nel caso dei formati piccoli e piccolissimi.

Il fascicolo

Nei primi incunaboli i fascicoli sono formati da fogli piegati in due e inseriti l’uno nell’altro per ottenere quaterni, quinterni ecc., non diversamente dalla tecnica dei codici manoscritti. Agli albori della tipografia si stampavano solamente una o due facciate per volta, con procedimenti molto lenti. Nella forma venivano accostate due pagine, il verso e il recto di due carte diverse, non in ordine progressivo.

La situazione cambiò con l’introduzione di nuove tecniche tipografiche (il doppio colpo di barra) che consentirono una graduale normalizzazione degli standard di imposizione e di impressione dell’intero foglio. Le procedure non furono sempre identiche nel corso del Cinquecento, ma si riuscivano talvolta a imprimere fogli di grandezza normale con un solo colpo, grazie a un torchio più grande (Conor Fahy).

La composizione numerica delle carte costituenti il fascicolo varia secondo epoche, luoghi ed esigenze. Gli elementi che determinano la scelta sono generalmente:

1.      le dimensioni del foglio e il numero delle plicature;

2.      il tipo di impaginazione (non si potevano impegnare contemporaneamente troppi caratteri);

3.      gli aspetti tecnici di cucitura dei fascicoli e rilegatura del volume.

In teoria un foglio di forma intero dovrebbe originare un fascicolo, e, in base alla plicatura scelta, determinare il numero delle carte. In realtà si riscontrano soluzioni più eterogenee. Nel periodo degli incunaboli, si preferì assemblare più fogli per costituire fascicoli nei formati medio-grandi (2° e 4°); dal Settecento crescono invece le dimensioni delle carte: i fascicoli si formano da sub-unità del foglio, per evitare un numero eccessivo di plicature e problemi di cucitura. Il fascicolo, quindi, non corrispondeva sempre a un unico foglio di forma, ma spesso era il risultato di sue sub-unità o di più fogli assemblati.

Nel ‘500 le migliorate tecniche di impressione consentono la stampa non più per pagine ma per foglio intero. Mancano comunque regole precise; nei secoli XVI e XVII sembra generalizzarsi il numero di 6 carte per fascicolo (in 2°), mentre nel caso di 4° e 8° si riduce a uno solo il foglio da utilizzare.

La segnatura contraddistingue il singolo fascicolo e, soprattutto nel periodo più antico, quando ancora la numerazione delle carte non era generalizzata, permette di controllarne l’integrità e la regolare successione. Ha origine nel mondo tedesco; le più antiche erano manoscritte, collocate nell’angolo inferiore destro e tagliate al momento della legatura. Erano costituite da lettere dell’alfabeto, in serie rinascenti e diversificate (maiuscole-minuscole, semplici, doppie, triple ecc.). Furono le tipografie veneziane a introdurre la norma, una composizione di lettere, desunta dal titolo dell’opera, per distinguere i fogli a identica segnatura ma appartenenti a un altro libro.

Altro elemento significativo della struttura del libro in antico regime tipografico è il registro. Negli incunaboli il termine può avere duplice significato: di indicazione del contenuto oppure di prospetto dei fascicoli e delle carte, generalmente secondo le parole iniziali. In questa seconda accezione il registro è un’invenzione italiana, per aiutare tipografi, legatori e librai a controllare la completezza dell’opera stampata. Fino al 1480 circa esso si basa sull’indicazione delle parole iniziali; da 1480 a 1485 si indicano le segnature al posto delle parole; dopo il 1485 si ha una formula che comprende i fascicoli e il relativo numero di carte.

Oltre a segnatura e registro, anche il richiamo doveva facilitare il libraio e il legatore nella composizione e nel controllo del volume. La parola iniziale di una carta veniva ripetuta in calce all’ultima riga della precedente; in un’epoca che legge ad alta voce, poi, i richiami rendevano più semplice anche il passaggio dell’occhio dall’ultima riga di una pagina alla prima della successiva. Poco frequenti negli incunaboli, il loro uso si generalizzò durante la Riforma.

Dal manoscritto la stampa riprende anche l’uso di numerare, di solito sul recto, le carte di un volume: è il procedimento della cartulazione. Negli incunaboli troviamo numeri romani composti nello stesso carattere del testo, magari in corpo maggiore. Rarissima la numerazione per pagina, che diviene più frequente dal Cinquecento, soppiantando poi definitivamente la cartulazione. Caratteristica delle tipografie veneziane è la numerazione con cifre arabiche.

Un elemento che a volte poteva essere unito alle carte di un fascicolo è il carticino, sia per aggiungere che per sostituire qualcosa. Si caratterizza per la notevole diversità rispetto alle altre pagine del fascicol: nel tipo di carta, nella tecnica tipografica e nell’eventuale incollatura o imbrachettatura.

La legatura, antecedente della copertina, sebbene sia esistita sin dai tempi di Aldo Manuzio, rappresentò più l’eccezione che la regola. La maggior parte delle legature dei libri antichi, che formano un tutt’uno con l’oggetto-libro, sono il risultato del suo consumo. I fascicoli potevano infatti non essere assemblati in un formato libro come è noto oggi, ma rimanere separati e entrare in possesso di diversi soggetti. Era solo per iniziativa individuale o di qualche librario che i fascicoli venivano legati fra loro

Altri aspetti

COLOPHON: fino alla definitiva affermazione del frontespizio, il colophon costituisce la formula conclusiva dei libri stampati nel Quattrocento e Cinquecento. Spesso in inchiostro rosso, con varia disposizione delle righe del testo, conteneva il nome dello stampatore, luogo e data di stampa e l’insegna dell’editore. Oggi può seguire il frontespizio o chiudere il volume; spesso si trova in entrambe le posizioni.

DEDICA D’ESEMPLARE (o ex-donis): deriva dall’antica lettera dedicatoria e si diffonde col libro a stampa, dove in genere si trova nel foglio di risguardo o nella pagina dell’occhiello. E la sola parte autografa del libro, non può essere ripensata e questo suo carattere di unicità accresce il valore del libro in cui si trova.

DEDICA D’OPERA: nasce dall’abitudine di inviare un’opera in omaggio. Si trova generalmente nella pagina destra che segue il frontespizio e precede il testo. Nell’incunabolo e nella cinquecentina è spesso unita a fregi decorativi o rappresentazioni della cerimonia dell’offerta;il dedicatore è in genere l’autore, ma vi sono anche casi in cui lo sono il curatore, il traduttore, l’editore, il tipografo, lo stampatore. Tra i secoli XVI e XVII la dedica assume uno spiccato carattere adulatorio, che decade poi lentamente alla fine del Seicento, recuperando nell’Ottocento l’originario valore prefativo.

EX LIBRIS: foglietto di piccole dimensioni che veniva incollato all’interno della copertina di un libro per indicarne il nome del proprietario, con uno stemma araldico o un’immagine simbolica, e un motto.

EXPLICIT: è la parola iniziale della formula explicit feliciter liber, seguita da indicazioni più o meno dettagliate su titolo, nome dell’autore, stampatore, anno e località di stampa; si trova alla fine dei manoscritti e delle prime opere a stampa, prima dell’introduzione del colophon. Molto utilizzato nel secolo XVI, è poi caduto in disuso.

FRONTESPIZIO: è la pagina, di solito a inizio pubblicazione, che presenta le informazioni più complete sul volume. I primi libri a stampa ne sono privi, ma già alla fine del Quattrocento il frontespizio prende forma, come componimento poetico, tipo occhiello o esplicativo, arricchendosi anche di elementi decorativi come cornici xilografiche e vignette. Nei secoli XVI e XVII si fa più prolisso e più vario, e compaiono indicazioni di carattere pubblicitario. In epoca moderna, si cerca un maggiore equilibrio delle parti, le decorazioni tendono a trasferirsi sulla copertina.

OCCHIELLO (o occhietto): è la pagina col titolo dell’opera che precede il frontespizio; per estensione, tutta la pagina che lo riporta o le pagine bianche precedenti il frontespizio. Si possono avere occhielli intermedi prima di ciascuna parte in cui il libro è suddiviso.

MARCA TIPOGRAFICA: il segno che veniva apposto sul libro da stampatori, editori e librai per proteggerne l’autenticità. Fino al 1520 le marche sono soprattutto geometriche o ispirate alle filigrane, poi si trasferiscono dal colophon all’interno del frontespizio e divengono emblematiche. Si trasformano poi in sigle editoriali e più tardi in loghi.

FONTE: http://www.storiadellastampa.unibo.it/colophon.html

About alberto