La carta: cenni storici.

Fasi di lavorazione della carta (XV Secolo).

Fasi di lavorazione della carta (XV Secolo).

 

 

MATERIALI E TECNOLOGIE

La carta

Cenni storici

E’ormai un fatto accertato che la carta fu inventata in Cina intorno al III secolo a.C. Le carte cinesi derivano verosimilmente dalla primitiva tecnica del tapa, attestata da millenni in Indonesia e in Oceania. Il gelso da carta, che cresce in abbondanza nella Cina meridionale, era tradizionalmente utilizzato per la confezione degli abiti: la sua corteccia, dopo essere stata battuta con delle mazze, veniva messa a bagno nell’acqua e si trasformava in tal modo in una sorta di pastone di fibre che veniva poi schiacciato sino a formare fogli dall’aspetto felpato. Il perfezionamento di tale procedimento porterà alla fabbricazione delle prime carte. Si preleva il libro (la parte interna della corteccia) e lo si fa cuocere a lamine in una lascivia di cenere di legna; le lamine del libro vengono pestate sino alla completa separazione delle fibre e alla loro frammentazione in fibrille; la pasta filamentosa, diluita con acqua, viene poi distesa su un setaccio e quindi messa ad asciugare al sole. Si narra che questo procedimento verrà successivamente integrato con un altro passaggio grazie all’interessamento di Ts’ai lun, un alto funzionario della corte degli Han, all’inizio del II secolo d.C. La collatura, ovvero l’applicazione sul foglio di una pellicola di amido di riso, renderà la carta parzialmente impermeabile ai liquidi e quindi adatta alla scrittura. Fra il II e il X secolo la carta e il procedimento di fabbricazione istituzionalizzato da Ts’ai lun si diffondono in tutte le province dell’impero, quindi in Asia centrale e in Indocina.

Per oltre un millennio, sino all’VIII secolo d.C., la fabbricazione della carta resta monopolio dell’estremo oriente, mentre dalla Persia all’Occidente medievale i supporti della scrittura restano il papiro e la pergamena. Sono gli arabi che diffonderanno la carta nel bacino del mediterraneo. Nel 751, con la battaglia di Talas, i musulmani conquistano Samarcanda – che fino a quel momento era sotto l’influenza dell’impero cinese – e fanno prigionieri alcuni cartai cinesi, i quali svelano loro il segreto di fabbricazione della carta. Viene immediatamente organizzato un primo centro di produzione: la carta di Samarcanda viene detta carta bombacina, fabbricata con lino e canapa, diventa subito famosa e assicura prosperità alla regione per un lungo periodo. In seguito vengono installate altre fabbriche di carta: a Baghdad, nello Yemen, a Damasco, a Tripoli. Insomma, la storia della carta si intreccia con la storia e l’evoluzione dell’espansione araba. Verso la fine dell’VIII secolo la carta fa la sua comparsa in Egitto, dove sostituisce gradualmente il papiro. Fra il X e il XII secolo la produzione della carta si sviluppa nell’Africa settentrionale e da qui raggiunge la Sicilia. Nel X secolo il potente emirato di Sicilia diventa un centro nevralgico del commercio di questo materiale. Nel 1072, tuttavia, Palermo cade nelle mani dei normanni, il cui re Ruggero fa della nuova Sicilia un modello di integrazione culturale e la carta diventa supporto ufficiale dei documenti del nuovo stato. All’inizio del XIII secolo, grazie alla politica di Federico II, Palermo diviene un importante centro di produzione, ed è per questa via che la carta siciliana inizia la sua inarrestabile risalita verso l’Italia settentrionale.

I principali materiali da cui si ricava la carta a quell’epoca sono il lino e la canapa, ma soprattutto la canapa tessuta (cordami di canapa e stracci di lino). Per la preparazione della pasta, la tecnica più diffusa nel mondo arabo consiste nella macerazione degli stracci di lino o di canapa con acqua e calce, seguita dallo sfilacciamento delle fibre con le forbici. La principale innovazione consiste nell’operazione di triturazione delle fibre la quale, invece di essere realizzata a mano o con il pestello come in Cina, viene effettuata con l’ausilio di una mola azionata dall’energia umana o animale, sul modello dei frantoi o dei mulini. Tale principio di meccanizzazione rapidamente si concretizzerà nel mulino da carta, appositamente studiato per triturare le fibre, che apparirà in tutto il mondo arabo. Pur senza presentare sostanziali differenze rispetto al modello cinese, durante l’epoca musulmana la finitura del foglio di carta viene perfezionata: l’eliminazione dell’acqua viene effettuata con una pressa e, sul modello della pergamena, alcune carte vengono trattate con argilla bianca fine, gesso o farina bianchissima.

Fin dal XII secolo l’Europa acquista la carta prodotta nei domini arabi. Tuttavia, qualunque sia la sua provenienza, la carta rimane un prodotto musulmano che suscita diffidenza, un prodotto alquanto mediocre, considerato molto meno affidabile della pergamena. In realtà, l’importazione delle carte orientali non smette di aumentare. Nel XIII secolo, le flotte mercantili dell’Adriatico e del Mediterraneo si spartiscono un mercato sempre più florido. La carta incomincia a entrare nelle corti europee, il suo utilizzo per atti notarili o commerciali diviene sempre più usuale, ma soprattutto nascono i primi centri di fabbricazione “cristiani”. Verso la metà del XIII secolo i fabbricanti della piccola città di Fabriano iniziano improvvisamente a produrre la carta secondo un metodo nuovo, che non ha più nulla a che vedere con quello arabo. La carta italiana (di migliore qualità, meno costosa e soprattutto “cristiana”) si impone progressivamente sulle piazze europee. Nel XIV secolo tutte le grandi città dell’Europa occidentale, tutte le istituzioni importanti e tutti i centri di decisione politica ed economica possiedono considerevoli scorte di carta italiana. Se i mulini arabi erano azionati da energia umana o animale, a Fabriano tutti i mulini menzionati nel 1268, 1276 e 1283 sono dotati di un dispositivo tecnico nuovo, la pila idraulica a magli multipli con ruota a pale. Queste pile lavorano in verticale, azionati da alberi a camme, rendendo tutto il processo di triturazione enormemente più efficiente ed efficace. Cambia anche la forma che viene immersa nel tino contenente la pasta di carta e il metodo di collatura: si utilizza infatti una gelatina di origine animale che rende la carta più lucida, impermeabile e resistente. Grazie a queste innovazioni Fabriano riesce a conquistarsi il monopolio della produzione di carta a livello europeo, monopolio che termina solo intorno alla metà del XIV secolo, quando i principali consumatori di carta (francesi e tedeschi in testa) decidono di creare dei propri centri di produzione. E così, gradualmente, i centri cartari si spostano dal sud al nord europeo.

La lavorazione della carta

Ma vediamo più in specifico come viene prodotta la carta. Nonostante alcune innovazioni tecniche marginali, il procedimento di fabbricazione della carta rimane identico dal XIII al XIX secolo. Le quattro grandi tappe – preparazione e cernita degli stracci, lavorazione della pasta, formazione del foglio e apparecchiatura della carta – si succedono con i loro tempi e i loro spazi specifici.

Gli stracci. Per oltre cinquecento anni la storia della carta è stata vincolata a quella della sua materia prima: gli stracci, una materia rara, raccolta per generazioni dal piccolo mondo degli stracciaroli. È piuttosto singolare che, in origine, l’industria della carta sia riuscita a svilupparsi in Occidente solo grazie a un capriccio della moda. È stata infatti un’innovazione verificatasi nel XIII secolo nel campo dell’abbigliamento a diffondere la moda del lino e l’uso della camicia nonché della biancheria intima. Grazie a questa nuova abitudine, che ha permesso l’accumulo di stracci per secoli, si è resa disponibile la materia prima indispensabile alla fabbricazione della carta. Prima di poter essere utilizzati, gli stracci accumulati devono essere accuratamente lisciviati, imbianchiti al sole, ripuliti di tutti i corpi estranei e le sporcizie dannosi per la qualità della pasta, quindi tagliati a strisce. A questa operazione segue uno smistamento meticoloso sulla base della qualità del tessuto, dello stadio di usura e del colore.

La pasta di carta. Dopo essere state abbondantemente bagnate, le strisce di straccio vengono messe a fermentare per diverse settimane in un maceratoio. La materia ottenuta viene trasportata nel mulino e gettata nelle pile piene d’acqua, dove viene sfibrata e battuta fino a essere ridotta in poltiglia. I magli – degli enormi martelli di legno muniti alle estremità di appositi chiodi appuntiti – si sollevano e ricadono uno dopo l’altro nelle rispettive pile con un movimento regolare e alternato indotto dall’albero a camme del mulino. A questo primo lavoro di sfilacciatura, che richiede da dodici a trentasei ore, segue una seconda fase di triturazione più fine (la raffinazione) durante la quale si fa passare la pasta in altre pile, dotate di magli chiodati a testa piatta, i quali trasformano gli sfilacci in fibre. La materia viene così ridotta a una sospensione fibrosa di colore biancastro: la pasta di carta.

Formazione del foglio. Il liquido lattiginoso viene versato in un tino di legno rotondo alla cui base un fornelletto mantiene tiepido il contenuto. Appostato sopra la vasca, il prenditore attinge il liquido con un utensile essenziale alla preparazione del foglio: la forma. Questa è un setaccio rettangolare attraversato a intervalli regolari da sottili listelli di legno d’abete (i colonnelli) sui quali poggia una fitta rete di fili trasversali in ottone (le vergelle) fissati sui listelli per mezzo di fili sottilissimi. Il setaccio è munito di un telaio amovibile che, racchiudendo perfettamente la forma, delimita i bordi del foglio che si desidera creare. Quando il prenditore ritira dalla vasca la forma, l’acqua cola attraverso la rete, ma i materiali solidi rimangono attaccati alle vergelle, creando un materasso fibroso. Il reticolo metallico della forma lascia allora all’interno del foglio in formazione la propria traccia. Tutte le carte prodotte in Europa fra il XIII e il XVIII secolo presentano queste immagini fantasma. Sfruttando tale fenomeno, i cartai hanno aggiunto al reticolo un filo di ottone che crea un disegno che rimane impresso nella carta: la filigrana, vero e proprio marchio delle diverse imprese cartarie. Il prenditore lavora in sincronia con il ponitore. Una volta tolta la cornice amovibile della forma, il ponitore applica un feltro sul foglio e stende – cioè rigira su se stesso – l’insieme (feltro, foglio e forma) in modo da poter togliere la forma, dato che il foglio ora poggia sul feltro. Applica quindi sul foglio umido un secondo feltro, il quale servirà da supporto al foglio successivo. Non appena si forma una pila di cento fogli, questa viene pressata da un torchio a vite: si ottiene così la prima disidratazione, che riduce lo spessore della pila a un terzo dell’altezza iniziale. Questo è il momento critico, in quanto ora si costituiscono i legami fra le fibrille di cellulosa che garantiranno la resistenza della carta. Al termine dell’operazione i fogli sono abbastanza resistenti per poter essere messi a essiccare negli stenditoi, in ampie sale dotate di persiane di legno mobili che permettono la regolare circolazione d’aria e la velocità di essiccazione.

L’apparecchiatura. I fogli destinati alla scrittura devono essere spalmati di una sostanza idrofoba che impedisce alla superficie di assorbire l’inchiostro. Questa colla, preparata con scarti di pelli animali bollite, viene filtrata sino a ottenere una gelatina. Con un movimento rapido, il collatore immerge nel bagno di colla una mazzetta di fogli (da 5 a 10) – manovrandola in modo da staccare i fogli gli uni dagli altri – avendo cura che tutti i fogli siano abbondantemente impregnati di gelatina. Dopo essere stati pressati per eliminare la gelatina in eccesso, i fogli collati vengono riportati nello stenditoio per un’ulteriore essiccazione, quindi vengono pressati un’ultima volta nel lisciatoio per una decina di ore. Alcune operaie passano un raschietto su ogni foglio per eliminarne le eventuali asperità, mentre altre levigano i fogli con un’apposita pietra, al fine di uniformarne la grana: è l’operazione di calandratura. I campioni difettosi vengono messi da parte per essere riciclati nella pasta, mentre i fogli accettabili sono divisi secondo cinque gradi di qualità, di cui solo i primi due sono considerati adatti alla scrittura. Come detto, il processo di fabbricazione della carta messo a punto a Fabriano nel XIII secolo rimarrà praticamente invariato fino all’avvento delle prime macchine completamente automatizzate, che faranno la loro comparsa nella seconda metà del XIX secolo.

FONTE: http://www.storiadellastampa.unibo.it/colophon.html

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